CARLO STEFANO GIULIO
Carlo Stefano Giulio nacque a San Giorgio Canavese il 6 dicembre 1757, concittadino del più celebre Carlo Botta. Il padre Pietro Filippo fu notaio in San Giorgio, il cugino Ignazio fu ingegnere e lavorò anche nel Vercellese. Apparteneva quindi a quella borghesia illuminata che chiedeva riforme e maggiore partecipazione nell’amministrazione del bene pubblico.
Si laureò in medicina presso l’università di Torino nel 1778 e fu nominato aggregato al collegio di filosofia e medicina il 15 dicembre 1783. D’ingegno sveglio, dotato di una memoria prodigiosa, come dice Tirsi Mario Caffaratto, nel 1787 fu professore di fisiologia e dal 1792 insegnò anche anatomia presso l’università.
Entrato in contatto con il medico Sebastiano Giraud, colui che aveva dato nuovo vigore alla loggia “La Mystérieuse”, tenuta sotto stretto controllo dall’opposizione di Vittorio Amedeo III, aderì alla massoneria, spinto dalla costante disposizione alla “ricerca della verità e della scienza” e per tutta la vita mantenne vivo l’atteggiamento dell’indagatore e dello studioso. Da vero illuminista si interessava degli argomenti più disparati, fossero essi le “pecore di Spagna” o il “grano di spiga nera” da lui introdotto sperimentalmente prima a San Giorgio e pi nel Vercellese. Questa sua passione lo portò a ricoprire anche alcune cariche in seno a diverse organizzazioni di carattere scientifico: fu infatti membro di numerose accademie e in particolare dell’Accademia delle Scienze, alla cui fondazione contribuirono alcuni massoni piemontesi e all’Accademia di Agricoltura, fondata dal Giraud e da altri fratelli, di cui divenne segretario perpetuo.
Tra il 1789 e il 1791 con il chimico Giovanni Antonio Giobert si fece promotore di una società filosofica che, come dice il Dionisotti: “divenuta centro delle ricerche per ,o addietro isolate le andava raccogliendo, onde servissero di materiale ad un giornale, che ben presto venne in pregio appo i dotti di tutta la penisola. Fu il primo giornale di questo genere che escisse alla luce in Piemonte, e servì mirabilmente a diffondere l’istruzione scientifica”.
Si intitolava “Giornale scientifico-letterario e delle arti di una società filosofica di Torino, raccolto e posto in ordine da Giovanni Antonio Giobert e Carlo Giulio, membri di varie accademie”, usciva con frequenza mensile a dispense di circa cento pagine. Più tardi (1801) farà parte della commissione deputata alla riforma degli studi che risulterà composta da ben tre fratelli: Botta, Giulio e Giraud, cui fu affidata la mansione di segretario.
Scoppiata la Rivoluzione in Francia, anche Giulio fu tra coloro che aderirono alle nuove idee. Sul finire del1793 faceva infatti parte, in Torino, del circolo che si riuniva presso il medico Ferdinando Barolo e del quale facevano parte alcuni dei più bei nomi di “repubblicani” di allora come Maurizio Pellisseri, Angelo Pico, Carlo Botta, Giovanni Battista Balbis, Federico Campana, Luigi Ghiliossi e Francesco Della Morra. Tutti costoro facevano capo al Tilly, Ministro del Comitato di Salute Pubblica in Genova ed ebbero poi parte importante nelle cospirazioni e nei disordini del 1794.
Nel 1796-97, ai tempi della prima calata di Napoleone,si mise ben presto in luce per le sue idee tanto che la polizia lo teneva sotto stretta sorveglianza ed egli stesso scrisse al Ginguenè, ambasciatore di Francia, il 19 dicembre 1798, che si era salvato per puro miracolo poiché era compreso in una lista di 57 individui che dovevano essere giustiziati “senza alcuna forma di processo”. L’avvento della repubblica gli consentì di ricoprire le prime cariche politiche: nel ’98 diventava infatti Commissario di Governo e nel ’99 era membro del Giurì medico militare e del Consiglio civile e militare. Durante l’occupazione austro-russa fu costretto a riparare, come molti altri, in Francia.
Ritornò in Piemonte dopo Marengo e il 4 ottobre 1800 venne chiamato dal generale Jourdan, ministro plenipotenziario della Francia nel Piemonte occupato, a far parte della commissione esecutiva di governo composta da Carlo Botta, Carlo Bossi e Carlo Giulio. Fu il famoso governo dei “tre Carli” che diceva ironizzando il Brofferio: “era una certa autorità come quella del segretario, del segretario, del segretario; comandavano quando il generale li lasciava comandare, e quando il Direttorio lasciava comandare il generale”.
Nonostante il pare del Brofferio fu questo un periodo tutto sommato importante per il Piemonte perché veniva riconosciuto il fondamentale “diritto che compete a tutti i Cittadini di manifestare liberamente i propri pensieri … e non si dovrà in verun modo diminuire l’influenza benefica della Libertà, della Stampa sulla Libertà civile sui progressi delle umane cognizioni e sulla prosperità nazionale”.
Si proclamò inoltre “che l’escludere chiunque dall’esercizio dei Diritti Civili ripugna ai principi della Libertà e dell’eguaglianza … che il libero esercizio dgli eguali diritti forma la base delle virtù sociali, promuove il perfezionamento delle Scienze e delle Arti e, mentre favorisce il commercio, assicura la difesa della stato”.
Si decretò inoltre che: “La diversità di Culto non produrrà più da ora in avanti in Piemonte veruna distinzione fra gli individui nell’esercizio de’ loro diritti civili, come nemmeno nell’adempimento de’ loro sociali doveri”.
Nel 1802 in compagnia di Carlo Botta, Giulio si recò a Parigi per portare i rallegramenti del collegio della Dora a seguito dell’annessione definitiva del Piemonte alla Francia, annessione che egli aveva sempre caldeggiato e propugnato.
Il 24 floreale dell’anno XXII (14 maggio 1804) Giulio veniva nominato, con decreto imperiale, prefetto del dipartimento della Sesia e prendeva effettivo possesso della carica il 23 pratile seguente (12 giugno 1804). Al momento in cui assumeva la carica il dipartimento della Sesia era un dipartimento “tranquillo” solo nei rapporti a Parigi: in realtà profondi problemi e contrasti lo travagliavano. Lo spirito pubblico, nelle campagne tra il popolo, non era certamente favorevole ai francesi, accusati di difendere ormai gli interessi della nobiltà e della grossa borghesia. L’inflazione e la carestia aggravavano la già precaria condizione economica; la coscrizione militare seminava il malcontento; il brigantaggio e il contrabbando prosperavano pressoché indisturbati.
Giulio cercò di risolvere tutti questi problemi con una tenacia e un ardore veramente ammirevoli, sempre vigile ed attento, vero esempio dell’efficientismo amministrativo napoleonico, si muoveva in mezzo a difficoltà e a situazioni che non incoraggiavano troppo la buona volontà di un funzionario. Circondato di diffidenza, affiancato da collaboratori non sempre eccellenti sotto il profilo della capacità e non sempre fedeli sotto quello dei sentimenti, doveva agire con circospezione e con intelligenza per svolgere appieno il proprio dovere.
Intensificò nel dipartimento l’attività di polizia e per suo ordine tre colonne armate di 400 uomini ciascuna saranno obbligate a percorrerne il territorio in lungo e in largo per mantenervi la tranquillità ed evitare disordini e sedizioni. Sarà grazie alla sua perspicacia se nel 1806 si potrà sventare una grossa congiura che sarebbe dovuta scoppiare nel Biellese e nel Cossatese e che avrebbe potuto avere ben più gravi ripercussioni per i legami che i congiurati intrattenevano con altre regioni come l’Alessandrino e il Piacentino.
La sua energia non si rivolgeva soltanto contro i cospiratori politici, colpiva anche il brigantaggio, piaga non mai del tutto estirpata dai nostri dipartimenti. Vennero sgominate bande di un certo nome come quella dei Canattone, che operavano nella zona di Formigliana, o come quella di un certo Maccia che operava nella zona di Masserano, Cossato e Mosso Santa Maria.
Dovette lottare con severità contro il contrabbando, poiché, essendo il dipartimento della Sesia zona di confine con il Regno d’Italia, questa piaga prosperava, protetta dalle autorità locali, tanto che il Tarle osservava che il contrabbando alle nostre frontiere “aveva assunto … l’andamento e i procedimenti di un commercio regolare e perfettamente lecito”.
Operò con una certa severità anche riguardo al problema della coltivazione del riso. Le risaie continuavano a crescere e la zona di rispetto nelle immediate vicinanze della città e dei paesi veniva continuamente violata e i regolamenti aggirati. Il Giulio, che nella sua qualità di medico non sottovalutava il pericolo della proliferazione della risaia che causava febbri e malaria, prese più volte posizione contro gli abusi, ma si ebbe infine, per tutta risposta, un dispaccio del ministro dell’Interno Champagny, che lo invitava a tenere un comportamento più conciliante nei confronti dei grossi proprietari, invocando l’articolo 544 del Codice Civile che proclamava la libertà dei medesimi di seminare e coltivare il riso come loro meglio aggradava e a tutto dispetto delle più elementari norme di salute pubblica.
Della salute pubblica si preoccupò ance in altre occasioni ma i pregiudizi radicati nelle popolazioni ne ostacolavano grandemente gli sforzi. Per ovviare agli effetti della carestia veniva propagandata nelle campagne la coltura della patata, ma malgrado gli incentivi del governo e del prefetto, le popolazioni preferivano di gran lunga la tradizionale polenta al tubero.
Sempre vigile, il prefetto si interessava di ogni cosa, voleva essere messo al corrente di tutto e brigava per le frodi alimentari, quelle del pane specialmente, o per la mancata applicazione dell’editto di St. Cloud sui cimiteri suburbani. Si dava da fare per combattere il vaiolo che mieteva parecchie vittime nelle nostre zone. A tutto il 1806 nel Vercellese,secondo i dati del Dionisotti, furono vaccinate 3531 persone, numero considerevole in rapporto alle circostanze e agli ostacoli che si dovettero superare, ma esiguo se si raffronta con la popolazione del circondario che era di 74.761 persone.
Altra piaga per le popolazioni fu la coscrizione militare. Essa sottraeva al lavoro braccia valide in una condizione generale già delicata ripercuotendosi soprattutto sui ceti meno abbienti, rendendo obbligatorio quello che era sempre stato considerato un mestiere come un altro, mandando a morire dei giovani per una causa che non sentivano affatto, scatenando così profondo malcontento.
Si cercava di sfuggire alla coscrizione in ogni modo: dandosi alla macchia, emigrando all’estero o procurandosi attestazioni di false malattie. Le stesse popolazioni proteggevano i coscritti. Si fornivano loro viveri, asilo, documenti falsi. Le speculazioni non mancavano. Nel gennaio 1806 suscitò un certo scalpore il caso del medico Paolo Bossi di Crevacuore condannato a due anni di reclusione e a mille lire di multa per aver diagnosticato “malattie chimeriche” sulle persone di diversi coscritti. La coscrizione dell’anno 14 aveva dato luogo a parecchie misure di rigore, ma la loro efficacia fu, nonostante tutto, piuttosto scarsa. Il prefetto e suoi sottoposti operarino con una certa durezza. Nel gennaio vi furono sequestri, prelevamenti di mobili e di masserizie, perquisizioni e ammende per migliaia di franchi nelle zone di Gattinara, Cossato e Crevacuore. Già fin dal novembre-dicembre del 1805 nella zona di Donato vennero impiegati i “garnisaires”, soldati destinati di guarnigione in casa e a spese delle famiglie dei coscritti renitenti.
Anche nel campo della pubblica finanza l’opera del Giulio non fu priva di efficacia. Venne riveduto il sistema tributario e si cercò di imporre una tassazione più equa suddividendo i contribuenti in cinque classi e in proporzione alle loro possibilità finanziarie. Una commissione con a capo il prefetto venne istituita a tale scopo nel 1805 e incaricata di redigere annualmente l’elenco dei 600 maggiori contribuenti del dipartimento. Il compito venne espletato ottimamente dal Giulio e dai suoi collaboratori: le liste venivano di continui aggiornate e trasmesse a Parigi e il dipartimento della Sesia poteva in tal modo procurare all’erario statale, fra imposte e tasse, un gettito che l’Ordano ha calcolato aggirantesi intorno ai tre milioni annui. Attività poliedrica e incessante, come si può ben vedere, condotta con infaticabile solerzia.
I molti meriti che il Giulio aveva acquistato presso il governo gli fruttarono nel 1804 la Legion d’Onore. Nel 1808, con decreto imperiale del 28 ottobre, veniva nominato presidente del collegio elettorale di Chivasso e l’anno seguente, il 15 agosto, Napoleone lo creava barone dell’impero con una dotazione di 4.000 franchi.
L’attività prefettizia gli limitava grandemente il tempo per dedicarsi alle sue occupazioni di carattere scientifico e di questo si doleva profondamente. Scriveva all’amico Bossi, commissario straordinario del Regno d’Italia a Torino, nel febbraio del 1806: “Insomma senza istare sopra le pretenzioni, Voi avrete cura di scrivermi, sempre che la natura degli affari, e lo sfogo dell’amicizia il richiederanno, ed io farò lo stesso, con questo divario, che a Voi rimane assai tempo da conservare inoltre alle arti da Voi amate e che a me non rimangono che menomissimi ritagli, per leggere o scrivere qualche coserella alla spezzata intorno alle Scienze che fecero ognora le mie delizie”.
La prima sconfitta di Napoleone a Lipsia nel 1813 fu per lui un colpo tremendo, perse il lume della ragione e dovette essere ricoverato il 12 novembre 1814 nel manicomio della Senavra a Milano dove si spense il 1° maggio 1815.
Giorgio Giordano
Si laureò in medicina presso l’università di Torino nel 1778 e fu nominato aggregato al collegio di filosofia e medicina il 15 dicembre 1783. D’ingegno sveglio, dotato di una memoria prodigiosa, come dice Tirsi Mario Caffaratto, nel 1787 fu professore di fisiologia e dal 1792 insegnò anche anatomia presso l’università.
Entrato in contatto con il medico Sebastiano Giraud, colui che aveva dato nuovo vigore alla loggia “La Mystérieuse”, tenuta sotto stretto controllo dall’opposizione di Vittorio Amedeo III, aderì alla massoneria, spinto dalla costante disposizione alla “ricerca della verità e della scienza” e per tutta la vita mantenne vivo l’atteggiamento dell’indagatore e dello studioso. Da vero illuminista si interessava degli argomenti più disparati, fossero essi le “pecore di Spagna” o il “grano di spiga nera” da lui introdotto sperimentalmente prima a San Giorgio e pi nel Vercellese. Questa sua passione lo portò a ricoprire anche alcune cariche in seno a diverse organizzazioni di carattere scientifico: fu infatti membro di numerose accademie e in particolare dell’Accademia delle Scienze, alla cui fondazione contribuirono alcuni massoni piemontesi e all’Accademia di Agricoltura, fondata dal Giraud e da altri fratelli, di cui divenne segretario perpetuo.
Tra il 1789 e il 1791 con il chimico Giovanni Antonio Giobert si fece promotore di una società filosofica che, come dice il Dionisotti: “divenuta centro delle ricerche per ,o addietro isolate le andava raccogliendo, onde servissero di materiale ad un giornale, che ben presto venne in pregio appo i dotti di tutta la penisola. Fu il primo giornale di questo genere che escisse alla luce in Piemonte, e servì mirabilmente a diffondere l’istruzione scientifica”.
Si intitolava “Giornale scientifico-letterario e delle arti di una società filosofica di Torino, raccolto e posto in ordine da Giovanni Antonio Giobert e Carlo Giulio, membri di varie accademie”, usciva con frequenza mensile a dispense di circa cento pagine. Più tardi (1801) farà parte della commissione deputata alla riforma degli studi che risulterà composta da ben tre fratelli: Botta, Giulio e Giraud, cui fu affidata la mansione di segretario.
Scoppiata la Rivoluzione in Francia, anche Giulio fu tra coloro che aderirono alle nuove idee. Sul finire del1793 faceva infatti parte, in Torino, del circolo che si riuniva presso il medico Ferdinando Barolo e del quale facevano parte alcuni dei più bei nomi di “repubblicani” di allora come Maurizio Pellisseri, Angelo Pico, Carlo Botta, Giovanni Battista Balbis, Federico Campana, Luigi Ghiliossi e Francesco Della Morra. Tutti costoro facevano capo al Tilly, Ministro del Comitato di Salute Pubblica in Genova ed ebbero poi parte importante nelle cospirazioni e nei disordini del 1794.
Nel 1796-97, ai tempi della prima calata di Napoleone,si mise ben presto in luce per le sue idee tanto che la polizia lo teneva sotto stretta sorveglianza ed egli stesso scrisse al Ginguenè, ambasciatore di Francia, il 19 dicembre 1798, che si era salvato per puro miracolo poiché era compreso in una lista di 57 individui che dovevano essere giustiziati “senza alcuna forma di processo”. L’avvento della repubblica gli consentì di ricoprire le prime cariche politiche: nel ’98 diventava infatti Commissario di Governo e nel ’99 era membro del Giurì medico militare e del Consiglio civile e militare. Durante l’occupazione austro-russa fu costretto a riparare, come molti altri, in Francia.
Ritornò in Piemonte dopo Marengo e il 4 ottobre 1800 venne chiamato dal generale Jourdan, ministro plenipotenziario della Francia nel Piemonte occupato, a far parte della commissione esecutiva di governo composta da Carlo Botta, Carlo Bossi e Carlo Giulio. Fu il famoso governo dei “tre Carli” che diceva ironizzando il Brofferio: “era una certa autorità come quella del segretario, del segretario, del segretario; comandavano quando il generale li lasciava comandare, e quando il Direttorio lasciava comandare il generale”.
Nonostante il pare del Brofferio fu questo un periodo tutto sommato importante per il Piemonte perché veniva riconosciuto il fondamentale “diritto che compete a tutti i Cittadini di manifestare liberamente i propri pensieri … e non si dovrà in verun modo diminuire l’influenza benefica della Libertà, della Stampa sulla Libertà civile sui progressi delle umane cognizioni e sulla prosperità nazionale”.
Si proclamò inoltre “che l’escludere chiunque dall’esercizio dei Diritti Civili ripugna ai principi della Libertà e dell’eguaglianza … che il libero esercizio dgli eguali diritti forma la base delle virtù sociali, promuove il perfezionamento delle Scienze e delle Arti e, mentre favorisce il commercio, assicura la difesa della stato”.
Si decretò inoltre che: “La diversità di Culto non produrrà più da ora in avanti in Piemonte veruna distinzione fra gli individui nell’esercizio de’ loro diritti civili, come nemmeno nell’adempimento de’ loro sociali doveri”.
Nel 1802 in compagnia di Carlo Botta, Giulio si recò a Parigi per portare i rallegramenti del collegio della Dora a seguito dell’annessione definitiva del Piemonte alla Francia, annessione che egli aveva sempre caldeggiato e propugnato.
Il 24 floreale dell’anno XXII (14 maggio 1804) Giulio veniva nominato, con decreto imperiale, prefetto del dipartimento della Sesia e prendeva effettivo possesso della carica il 23 pratile seguente (12 giugno 1804). Al momento in cui assumeva la carica il dipartimento della Sesia era un dipartimento “tranquillo” solo nei rapporti a Parigi: in realtà profondi problemi e contrasti lo travagliavano. Lo spirito pubblico, nelle campagne tra il popolo, non era certamente favorevole ai francesi, accusati di difendere ormai gli interessi della nobiltà e della grossa borghesia. L’inflazione e la carestia aggravavano la già precaria condizione economica; la coscrizione militare seminava il malcontento; il brigantaggio e il contrabbando prosperavano pressoché indisturbati.
Giulio cercò di risolvere tutti questi problemi con una tenacia e un ardore veramente ammirevoli, sempre vigile ed attento, vero esempio dell’efficientismo amministrativo napoleonico, si muoveva in mezzo a difficoltà e a situazioni che non incoraggiavano troppo la buona volontà di un funzionario. Circondato di diffidenza, affiancato da collaboratori non sempre eccellenti sotto il profilo della capacità e non sempre fedeli sotto quello dei sentimenti, doveva agire con circospezione e con intelligenza per svolgere appieno il proprio dovere.
Intensificò nel dipartimento l’attività di polizia e per suo ordine tre colonne armate di 400 uomini ciascuna saranno obbligate a percorrerne il territorio in lungo e in largo per mantenervi la tranquillità ed evitare disordini e sedizioni. Sarà grazie alla sua perspicacia se nel 1806 si potrà sventare una grossa congiura che sarebbe dovuta scoppiare nel Biellese e nel Cossatese e che avrebbe potuto avere ben più gravi ripercussioni per i legami che i congiurati intrattenevano con altre regioni come l’Alessandrino e il Piacentino.
La sua energia non si rivolgeva soltanto contro i cospiratori politici, colpiva anche il brigantaggio, piaga non mai del tutto estirpata dai nostri dipartimenti. Vennero sgominate bande di un certo nome come quella dei Canattone, che operavano nella zona di Formigliana, o come quella di un certo Maccia che operava nella zona di Masserano, Cossato e Mosso Santa Maria.
Dovette lottare con severità contro il contrabbando, poiché, essendo il dipartimento della Sesia zona di confine con il Regno d’Italia, questa piaga prosperava, protetta dalle autorità locali, tanto che il Tarle osservava che il contrabbando alle nostre frontiere “aveva assunto … l’andamento e i procedimenti di un commercio regolare e perfettamente lecito”.
Operò con una certa severità anche riguardo al problema della coltivazione del riso. Le risaie continuavano a crescere e la zona di rispetto nelle immediate vicinanze della città e dei paesi veniva continuamente violata e i regolamenti aggirati. Il Giulio, che nella sua qualità di medico non sottovalutava il pericolo della proliferazione della risaia che causava febbri e malaria, prese più volte posizione contro gli abusi, ma si ebbe infine, per tutta risposta, un dispaccio del ministro dell’Interno Champagny, che lo invitava a tenere un comportamento più conciliante nei confronti dei grossi proprietari, invocando l’articolo 544 del Codice Civile che proclamava la libertà dei medesimi di seminare e coltivare il riso come loro meglio aggradava e a tutto dispetto delle più elementari norme di salute pubblica.
Della salute pubblica si preoccupò ance in altre occasioni ma i pregiudizi radicati nelle popolazioni ne ostacolavano grandemente gli sforzi. Per ovviare agli effetti della carestia veniva propagandata nelle campagne la coltura della patata, ma malgrado gli incentivi del governo e del prefetto, le popolazioni preferivano di gran lunga la tradizionale polenta al tubero.
Sempre vigile, il prefetto si interessava di ogni cosa, voleva essere messo al corrente di tutto e brigava per le frodi alimentari, quelle del pane specialmente, o per la mancata applicazione dell’editto di St. Cloud sui cimiteri suburbani. Si dava da fare per combattere il vaiolo che mieteva parecchie vittime nelle nostre zone. A tutto il 1806 nel Vercellese,secondo i dati del Dionisotti, furono vaccinate 3531 persone, numero considerevole in rapporto alle circostanze e agli ostacoli che si dovettero superare, ma esiguo se si raffronta con la popolazione del circondario che era di 74.761 persone.
Altra piaga per le popolazioni fu la coscrizione militare. Essa sottraeva al lavoro braccia valide in una condizione generale già delicata ripercuotendosi soprattutto sui ceti meno abbienti, rendendo obbligatorio quello che era sempre stato considerato un mestiere come un altro, mandando a morire dei giovani per una causa che non sentivano affatto, scatenando così profondo malcontento.
Si cercava di sfuggire alla coscrizione in ogni modo: dandosi alla macchia, emigrando all’estero o procurandosi attestazioni di false malattie. Le stesse popolazioni proteggevano i coscritti. Si fornivano loro viveri, asilo, documenti falsi. Le speculazioni non mancavano. Nel gennaio 1806 suscitò un certo scalpore il caso del medico Paolo Bossi di Crevacuore condannato a due anni di reclusione e a mille lire di multa per aver diagnosticato “malattie chimeriche” sulle persone di diversi coscritti. La coscrizione dell’anno 14 aveva dato luogo a parecchie misure di rigore, ma la loro efficacia fu, nonostante tutto, piuttosto scarsa. Il prefetto e suoi sottoposti operarino con una certa durezza. Nel gennaio vi furono sequestri, prelevamenti di mobili e di masserizie, perquisizioni e ammende per migliaia di franchi nelle zone di Gattinara, Cossato e Crevacuore. Già fin dal novembre-dicembre del 1805 nella zona di Donato vennero impiegati i “garnisaires”, soldati destinati di guarnigione in casa e a spese delle famiglie dei coscritti renitenti.
Anche nel campo della pubblica finanza l’opera del Giulio non fu priva di efficacia. Venne riveduto il sistema tributario e si cercò di imporre una tassazione più equa suddividendo i contribuenti in cinque classi e in proporzione alle loro possibilità finanziarie. Una commissione con a capo il prefetto venne istituita a tale scopo nel 1805 e incaricata di redigere annualmente l’elenco dei 600 maggiori contribuenti del dipartimento. Il compito venne espletato ottimamente dal Giulio e dai suoi collaboratori: le liste venivano di continui aggiornate e trasmesse a Parigi e il dipartimento della Sesia poteva in tal modo procurare all’erario statale, fra imposte e tasse, un gettito che l’Ordano ha calcolato aggirantesi intorno ai tre milioni annui. Attività poliedrica e incessante, come si può ben vedere, condotta con infaticabile solerzia.
I molti meriti che il Giulio aveva acquistato presso il governo gli fruttarono nel 1804 la Legion d’Onore. Nel 1808, con decreto imperiale del 28 ottobre, veniva nominato presidente del collegio elettorale di Chivasso e l’anno seguente, il 15 agosto, Napoleone lo creava barone dell’impero con una dotazione di 4.000 franchi.
L’attività prefettizia gli limitava grandemente il tempo per dedicarsi alle sue occupazioni di carattere scientifico e di questo si doleva profondamente. Scriveva all’amico Bossi, commissario straordinario del Regno d’Italia a Torino, nel febbraio del 1806: “Insomma senza istare sopra le pretenzioni, Voi avrete cura di scrivermi, sempre che la natura degli affari, e lo sfogo dell’amicizia il richiederanno, ed io farò lo stesso, con questo divario, che a Voi rimane assai tempo da conservare inoltre alle arti da Voi amate e che a me non rimangono che menomissimi ritagli, per leggere o scrivere qualche coserella alla spezzata intorno alle Scienze che fecero ognora le mie delizie”.
La prima sconfitta di Napoleone a Lipsia nel 1813 fu per lui un colpo tremendo, perse il lume della ragione e dovette essere ricoverato il 12 novembre 1814 nel manicomio della Senavra a Milano dove si spense il 1° maggio 1815.
Giorgio Giordano